mercoledì 29 maggio 2013

Matrimonio, omosessuali: il grande equivoco

Il Menzognero ha deciso da 50 anni a questa parte di voler seminare discordia attaccando la famiglia, e sta tentando in ogni modo di raggiungere questo fine. La prima arma, ovviamente, è il linguaggio, e gli equivoci che nascono da questo: usare ambiguamente un termine, abbinarlo ripetitivamente ad altri termini che poco hanno a che fare con esso, è un modo per cambiare la mentalità e la cultura delle persone, e far passare quello che prima era visto dal senso comune come inaccettabile. Partiamo quindi dalle parole, e facciamo chiarezza.
Il matrimonio, come si sa, è parola composta che viene dal latino: mater-munus, cioè quella funzione, quell'impegno materno (e paterno), che si sostanzia nello strutturare il focolare domestico al fine di educare e mantenere i figli. Ovviamente questo onere di educazione spetta ad entrambe i genitori, non solo alla madre; ciononostante la parola "matrimonio" si fonda sulla radice di mater proprio per contrapporla all'affare paterno, all'impegno del maschio, ossia alla cura del patri-monio, da cui era anticamente esclusa la donna. Partendo da questo chiarimento può meglio comprendersi come il termine "matrimonio" non voglia tanto indicare i soggetti che devono svolgere la funzione (la madre piuttosto che il padre), quanto quale sia la funzione che debba essere svolta: ossia tutti quegli affari domestici (che un tempo, neanche troppo remoto, curavano essenzialmente le matres) che hanno come finalità quella di crescere ed educare i figli. Parrà strano, ma non si parla di amore: poteva chiamarsi agape-monio, amori-monio, invece l'affetto sembra rimanerne fuori. E a ragione. Perché l'amore non è il fine del matrimonio, ma il presupposto: senza il bene reciproco non si può costruire nulla di buono. Ma qualcosa va pur costruito.


I tempi moderni sembrano invece aver ridotto il matrimonio soltanto ad una convivenza basata sull'affetto: i figli sarebbero soltanto una evenienza o, peggio ancora, un "diritto" (di cui si vorrebbe disporre). E' l'apoteosi dell'egoismo: non si sta insieme per dare agli altri, ma si convive per convenienza, per soddisfare i propri vuoti per mezzo di un rapporto vicendevolmente superbo. L'amore rimane chiuso e oppresso tra due soggetti che non vogliono donarsi agli altri, che non vogliono sacrificarsi. E questo non è amore. L'amore, per sua natura, è traboccante, va oltre, non ha limiti, sfonda le soglie strette che gli poniamo intorno. Ecco, l'amore è il presupposto del matrimonio. Ma oggi c'è chi pensa (o vuole spingere gli altri a pensare) che il matrimonio sia solo "amore" (o quello che si pensa sia tale, cioè il sentimentalismo e il sesso). Non è per niente così. Il matrimonio è quella vocazione che spinge due persone ontologicamente complementari a congiungersi definitivamente per assumersi la fantastica responsabilità di essere collaboratori di Dio nella creazione fisica di uno o più esseri umani e nella educazione spirituale di uno o più figli di Dio. Questo amore richiede sacrificio, perché l'amore si può declinare solo col sacrificio. Dio ha amato mandando il suo Figlio innocente a morire sulla croce per i colpevoli. Amare nel matrimonio significa quindi morire all'altro, al coniuge e ai figli, farsi crocifiggere per la salvezza del coniuge e dei figli, tacere e subire, sottomettersi per il bene dell'altro. Il matrimonio e la famiglia che ne nasce è scuola di vita, è maestra di amore, di amore vero.
Tutto questo non potrà mai sussistere nelle altre forme di convivenza che queste società post-moderne vogliono imporre come "diritti". Il grande equivoco è pensare che il matrimonio sia un istituto per gli adulti: nulla di più sbagliato. Il matrimonio ha come scopo quello della tutela dei figli nati dallo stesso. Gli adulti sono solo i soggetti che decidono di diventare, liberamente e responsabilmente, quegli strumenti necessari per la crescita dei figli. Per questo non può esistere un matrimonio che sia consapevolmente chiuso ai figli. I c.d. "matrimoni omosessuali" sono un insulto all'italiano e alla logica poiché sono "matrimoni" consapevolmente chiusi ai figli: mancando la complementarità sessuale, due uomini o due donne sono ontologicamente incapaci di procreare. Due uomini o due donne che vivono insieme non sono altro che una convivenza. Chi ne fa parte  può avere dei diritti, ma come singolo e non come gruppo. Ma - va ricordato - il diritto più grande (quello più dimenticato), è quello dei figli: nascere da un padre e una madre, crescere con loro, ricevendo quegli insegnamenti materni e paterni fondamentali per crescere in modo sano ed inserirsi con serenità nella società. Questo, solo questo, è matrimonio.

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